..Quindi ogni cosa gli parea mutata,
Le lunghe strade, i ben difesi porti,
E le ombrose foreste, e l'alte rupi.
Sguardò, fermo su i piè, la patria ignota,
Poi non tenne le lagrime, e la mano
Batté su l'anca, e lagrimando disse:
"Misero! tra qual nuova estrania gente
Sono io? Chi sa, se nequitosa e cruda,
O giusta in vece, ed ospitale e pia?
Ove questa recar molta ricchezza,
Ove ire io stesso? Oh nella Scheria fosse
Rimasta, ed io giunto all'eccelsa casa
D'altro signor magnanimo, che, accolto
Dolcemente m'avesse, e rimandato
Securamente! Io, dove porla ignoro,
Né lasciarla vo' qui, che altri la involi.
Men che saggi eran dunque, e men che probi
De' Feacesi i condottieri e i capi,
Che non alla serena Itaca, come
Dicean, ma in questa sconosciuta piaggia
Condur mi fêro. Li punisca Giove,
De' supplici custode, a cui nessuno
Celasi, e che non lascia inulto un fallo.
Queste ricchezze noveriam, veggiamo,
Se via non ne portò nulla la nave".
Commento:
Ulisse finalmente, dopo lunghe peripezie, è
arrivato alla sua amata Itaca; viene depositato sulla riva dell'isola
ancora addormentato e quando si sveglia, stravolto dal viaggio e dalle
avventure, non capisce neanche dove si trova, ma nel momento in
cui riesce a riprendersi un attimo e si guarda bene intorno, si rende
conto di essere a casa e bacia la terra raggiante di felicità; quello
che lo aspetta però non è tutto rose e fiori: deve ancora vedersela con i
Proci.
Odissea:
Libro tredicesimo